Le relazioni sono una faccenda complicata e lo sappiamo. Ciò vale per quelle sentimentali, amicali, tra genitori e figli, tra colleghi di lavoro. E vale anche per quelle terapeutiche ovviamente.
Forse però sulle prime dell’elenco grava un peso maggiore, perché nel nostro contesto culturale sono davvero tanto investite di aspettative. Lo vediamo per esempio nel diffuso convincimento del “ti farò felice” o viceversa del “mi aspetto che tu mi faccia felice”: che compito gravoso per una sola persona. E che rischiosa delega di responsabilità quella di affidare all’altro la propria felicità.
La situazione paradossale che si crea è ben riassunta da Perel quando dice:
“Non abbiamo mai investito così tanto sull’amore e non ci siamo mai lasciati così tanto in nome dell’amore”.
Pertanto ecco qualche riflessione sui problemi e i conflitti che viviamo nella coppia e sulle faticose dinamiche a essi correlate.
Dal mondo esterno
Il dato da cui desidero partire è che ogni coppia ha dei problemi. Gottman, che ha fatto ricerca sulle coppie per decenni, dice nelle sue formazioni - scherzando ma non troppo - che i problemi nascono dal fatto che l’altro non è perfetto come noi. Ironia a parte, quel che lui ha rilevato è che tali problemi rientrano in due tipologie: quelli situazionali e quelli perpetui. I primi sono risolvibili, i secondi no. I secondi sono il 69 per cento. Mettiamoci il cuore in pace quindi, ma prima vediamo che significa.
I problemi situazionali sono quelli legati ad aspetti concreti della vita rispetto ai quali si può trovare una soluzione, perché dietro non ci sono significati più profondi. Se ad esempio dobbiamo metterci d’accordo su chi si occupa di certe cose in casa e la questione è davvero solo organizzativa, siamo davanti a un problema situazionale e pertanto risolvibile. Ne parliamo in modo efficace, negoziamo e in qualche modo ne veniamo a capo.
I problemi perpetui invece sono quelli che ruotano intorno alle differenze fondamentali della personalità e dei bisogni di ciascun partner, ai loro valori e alle loro credenze, per questo tendono a ripresentarsi e non possono essere “risolti”. Tocca trovare una maniera buona per gestirli, mettendo in campo se possibile una buona dose di accettazione e di ironia.
E qui viene il difficile, perché non di rado nel parlare di queste cose noi persone possiamo agitarci molto (sempre Gottman afferma che ciascuno di noi ha due matrimoni, uno quando i battiti cardiaci sono sotto i 95 al minuto, uno quando sono sopra) o diventare difensive e ciò fa sì che i disaccordi si cementifichino e diventino delle aree di blocco che ogni volta che ci si torna su sembra di girare in tondo senza andare da nessuna parte. Se ci andiamo a guardare dentro, scopriamo che essi toccano degli aspetti emotivi importanti: in molti casi ad esempio litigare su chi fa cosa in casa è solo il veicolo per dire: “ma tu mi vedi?” o viceversa dall’altro lato: “ma a te va bene qualcosa di quello che faccio o sbaglio sempre?”.
Noi vediamo il contenuto, che può riguardare cosa apparentemente piccole e concrete, le quali però diventano grandi quando ignoriamo i sentimenti che ci sono sotto e i bisogni che ci stanno dietro.
Dal mondo interno
Un proverbio irlandese dice: “È meglio litigare che stare da soli”. Il punto però è come litighiamo e litigare bene non è una capacità così diffusa.
Litigare bene, per dirla in modo semplice, vuol dire litigare per imparare e non per vincere e vuol dire riuscire poi a riparare, a ritrovarsi.
Quando si parla di conflitti (ed escludo dal tema di questa lettera le situazioni legate al controllo coercitivo), ci sono vari tipi di dinamiche che possiamo individuare e ciò prescinde dal contenuto specifico del discorso.
Sue Johnson ha provato a identificarli, chiamandoli in modo un po’ teatrale per i miei gusti, “dialoghi demone”.
Il primo dialogo è detto “trova il cattivo” e avviene quando, per proteggersi, i partner si attaccano, si accusano, si colpevolizzano a vicenda. Il messaggio che si trasmettono è: “non sono io, sei tu”. In genere ciascuno offre molti esempi di quando l’altro ha sbagliato, per dimostrare di avere ragione. L’aspetto difficile è che in questa cosa ci si intrappola e una parte di sé rimane sempre all’erta ed è molto reattiva, perché si aspetta di essere ferita di nuovo, cosa che va a rinforzare la dinamica e fa sì che essa continui a ripetersi.
Il secondo dialogo è la “polka di protesta” ed è quello più diffuso. Lo possiamo immaginare come una danza in cui uno dei due partner fa un passo per avvicinarsi e l’altro partner fa un passo indietro. Poi tutto si ripete. Dietro vi sono emozioni e bisogni molto forti, ovvero quelli legati all’attaccamento e, come scrive Johnson, “le relazioni di attaccamento costituiscono gli unici legami al mondo in cui qualsiasi risposta è meglio di nessuna”. Allora accade che quando una persona avverte un distacco emotivo nella relazione, protesta, chiede spiegazioni, cerca di ristabilire la vicinanza perché si sente poco considerata, non vista, lasciata a sé stessa. L’altra per contro, sentendosi accusata di non fare abbastanza si ritira, si allontana ancora di più, spesso sentendo di non andare mai bene e sperando, chiudendosi, che la tempesta passi. Ciò porta la prima persona a intensificare le richieste e le proteste e la seconda ad allontanarsi ulteriormente. Il ripetersi di questo schema può creare tanta sofferenza in entrambi i partner, soprattutto quando i momenti di vicinanza non riescono a compensare quelli di disconnessione.
Il terzo dialogo è detto “blocca e fuggi” ed è caratterizzato da un grande silenzio. Nella metafora della danza, entrambi i partner sono immobili. Sembra non stia accadendo nulla, ma dentro è tutto un lavorio per reprimere le emozioni, che però emergono attraverso il volto o una sensazione di tensione palpabile. Per proteggersi ciascuno prova a fare come se non sentisse e non avesse bisogno di niente. A volte si arriva qui dopo che per tanto tempo si è danzata la polka di protesta e a un certo punto chi faceva il passo avanti ha rinunciato. Si mantiene una sorta di equilibrio in cui si evitano rischi, ma si è persa anche la speranza.
Quando il conflitto viene rifuggito, evitato in ogni modo per timore delle conseguenze, il rischio è che si accumuli una montagna di risentimento che si muove insieme alla coppia accomodandosi in tutte le stanze della casa. Qualcosa di simile accade quando si sta insieme a una persona nella speranza o nell’attesa che cambi.
Niente è facile quando ci sono due mondi (o più di due se invece di una coppia si è parte di una polecola) fatti ciascuno di una storia e di punti sensibili che se vengono toccati fanno saltare. Tali punti sensibili non riguardano infatti solo quel che sta facendo o dicendo in un dato momento la persona che abbiamo davanti, ma tutto il bagaglio delle nostre memorie relazionali, parte del quale è implicito e si riattiva in modo automatico per somiglianza, facendoci mettere in campo i modi in cui abbiamo imparato a proteggerci nella vita e nelle relazioni intime. Iniziare ad accorgersi di com’è fatto il ciclo che si contribuisce a creare può essere un primo passo. Poi c’è il resto da spacchettare.
Dal neuromondo
Ogni coppia presenta delle differenze interne poiché non esistono due cervelli uguali, ma quando i componenti della coppia non appartengono allo stesso neurotipo, diventa forse ancora più importante che ciascuna persona conosca le caratteristiche di funzionamento dell’altra, per non rischiare di attribuire ai reciproci comportamenti delle letture che partono dal proprio modo di essere nel mondo non tenendo conto del modo dell’altro o addirittura svalutandolo per la difficoltà a concepirlo.
La non conoscenza può generare incomprensione e dolore, così come lo strutturarsi di equilibri talvolta sbilanciati.
Le differenze neurobiologiche comportano infatti diversi modi di vivere ed esprimere l’empatia, di concepire il tempo trascorso insieme e la socialità, di regolare le emozioni, di trattenere le informazioni in memoria, di percepire ed elaborare gli stimoli sensoriali, di vivere la sessualità e così via.
Anche il modo di litigare può essere diverso, perché ad esempio una persona può avere la necessità di prendere delle pause al fine di evitare di essere sopraffatta dalle emozioni o per avere il tempo di processare quanto sta accadendo dentro e fuori, mentre l’altra persona può avere la spinta a risolvere il problema quanto prima.
Coltivare un assetto mentale relazionale significa trovare uno spazio dentro di sé che permetta di essere curiosi circa l’esperienza dell’altro vedendola come legittima, il desiderio di condividere la propria esperienza senza provare a persuadere chi si ha di fronte e la volontà di sintonizzarsi coi sentimenti dell’altra persona senza dimenticare i propri.
La domanda più preziosa può essere: “Com’è per te quando…?”.
Amo particolarmente questa parte del mio lavoro - in particolare per tutto quel che riguarda lo spettro autistico, ma non solo - e le dedico tanto studio, perché penso che il modo di navigare le differenze neurobiologiche nelle relazioni e la loro intersezione con il resto di ciò che siamo sia un tema che merita attenzione e che permette a me, ai singoli e alle coppie che decidono di lavorarci su, di mettere in campo tanta creatività: la strada è infatti diversa per ciascuna diade e va costruita insieme un passo alla volta.
Dal mondo delle storie
Quanto possiamo ritenere conoscere qualcuno, anche se lo conosciamo da sempre? Cosa significa stare con una persona che per lungo tempo non c’è e quando c’è non può farlo fino in fondo perché la sua vita è, per ragioni professionali, piena di segreti? Come diventa la vita di chi rimane e, come Penelope, aspetta?
Questo è un libro che lascia pieni di domande e parla di un amore lunghissimo, dell’attesa che diventa risentimento, di quei legami in cui si rimane dibattendosi perché comunque continuano a dire qualcosa di noi.
Ora è giunto il momento di salutarci, noi ci ritroveremo a Giugno con la prossima lettera. Se ti fa piacere far conoscere questo spazio a qualcuno che potrebbe apprezzarlo, puoi inoltrare la mail e aiutarmi ad ampliare il suo itinerario di viaggio.
Un abbraccio , è bello averti qui
Daniela
Mai come in questi giorni le tue parole mi aiutano nella mia riflessione ……
Grazie
Sei sempre tanto preziosa Daniela :)